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Il 21 ottobre del 1549, l’ingresso trionfale, in occasione dell’arrivo di Caterina d’Austria, sposa di Francesco III Gonzaga, avveniva dall’appena ultimata Porta Giulia. Uguale percorso onorerà l’arrivo di Eleonora d’Austria per le nozze con Guglielmo Gonzaga. La costruzione dello splendido manufatto sposta dunque i percorsi celebrativi di accesso a Mantova: ci si muove ora da Porta Giulia, attraversando lo scomparso ponte dei Mulini in direzione della piazza san Pietro, per arrivare in Castello.
E Porta Giulia - una delle più belle porte urbiche del Rinascimento - fu, in effetti, un episodio di architettura assolutamente straordinario. Il progetto è da ascrivere a Giulio Romano anche se il suo completamento avviene dopo la morte del grande manierista, nel 1549 come recita la data scolpita al di sopra di un bassorilievo sulla facciata esterna. La lapide della facciata interna ricorda, in aggiunta, come la porta fosse stata ultimata sotto la reggenza di Margherita Paleologa e del cardinale Ercole Gonzaga per il minore Francesco.
L’antica e precedente porta Giulia risaliva ai tempi dei Bonacolsi. Ne era stato ordinata la costruzione, negli ultimi anni del Duecento, dirimpetto all’antica chiesa di Santa Giulia (poi trasformata nella scomparsa parrocchiale di San Michele). La nuova porta urbica, ora, esaltava il sistema difensivo di una rinnovata cittadella fortificata che aveva visto all’opera prima Alessio Beccaguti e poi l’ingegnere militare Capino de Capo e poi, tra il 1533 e il 1538, Carlo Nuvoloni e poi ancora l’ingegnere militare Gabriele Bertazzolo, avo del più famoso cartografo Gabriele Bertazzolo.
La facciata esterna di Porta Giulia, simile a una romana porta trionfale, con tanto di lesene doriche di marmo, supporta una trabeazione, con triglifi e metope, su cui si articolano il timpano triangolare e due attici sovrapposti. Quasi speculare la facciata interna. Se la composizione della facciata può far pensare a qualche tradimento dell’idea originale, a una sua messa in opera in anni successivi alla morte di Giulio, l’ingresso nella grande aula che prende corpo prima della seconda facciata della porta (quella interna, rivolta verso il borgo) fuga ogni dubbio. L’architetto non realizza un usuale luogo di passaggio bensì un ambiente voltato che ostenta tutta la magnificenza dei suoi committenti. In questa grande sala rettangolare il motivo della tripartizione degli archi trionfali degli esterni assume una nuova veste, a cominciare dalle paraste doriche, alleggerite per la mancanza del bugnato, che fanno da pendant a quelle dell’arco centrale esterno e alle due piccole porte laterali. Sopra le paraste corre qui una trabeazione, resa più elegante dalla leggerezza delle cornici, che bipartisce l’intero spazio e regge l’ariosa profondità di una volte a botte. Non utilizza l’autore né triglifi né metope in questo spazio che assume la monumentalità di uno degli antichi luoghi termali. Il modulo disegnato sulle controfacciate si ripete ritmicamente sui lati lunghi dell’invaso e si direbbe di essere quasi di fronte a un omaggio alla pulizia formale albertiana se non si venisse immediatamente disattesi da un disinvolto uso della travata ritmica, da capitelli con echini ad ovuli, dalle cornici delle targhe finemente trattate con perline ma che accolgono marziali ed eroiche panoplie. Eppure tutta la creatività progettuale di Giulio Romano funziona anche nei contrasti più ironici e stridenti. Peccato che oggi si sia completamente perso il tessuto urbano che caratterizzava il borgo. Non esiste più la tardo trecentesca Santa Maria Nuova (salvo un brandello di muro) e non c’è più la chiesa di Santa Giulia. E il quartiere di Cittadella si è trasformato in una periferia attraversata da un incessante flusso di automobili in entrata e in uscita da Mantova.