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Fantasia, minuziosa conoscenza storica, penetrazione psicologica, una ricchezza linguistica fatta di preziosismi, arcaismi e calchi rinascimentali: tutti questi motivi fanno dei suoi libri una lettura da non affrontare con superficialità, ma da gustare lentamente assaporandone ogni singola parola.
Leggere le opere della Bellonci su Mantova significa, per chi vi è stato, vedersi spalancare davanti, come per stregoneria, gli scenari della città dal suo massimo splendore quattrocentesco alle invasioni e alle guerre del ‘500, alle pestilenze, fino alla caduta della dinastia regnante nel 1707.
Oppure, per chi non vi è ancora stato, una promessa di bellezza:
Vostra Paternità conosce come fa la primavera qui da noi a Mantova; esce dall’inverno a stento, svincolandosi dai malumori delle brume e delle fanghiglie invernali, scivola lungo maggi volubili, fino a che s’ingloria e s’infiora in giugno. Non so quale gioia ci porti allora, fra tenerezza e magnificenza. (…)
Attraverso i cristalli i raggi solari battevano sul damasco giallo veneziano delle tappezzerie; brillavano i colori delle pitture nelle cornici a frastagli d’oro inquadrate dal bianco spento e carezzevole delle decorazioni a stucco. E certo chi non li ha visti immagina difficilmente lo splendore e la delicatezza dei nostri arredi prima della gran disgrazia e del conseguente abbandono da cui faticosamente il signor duca presente cerca di riscattarli.
(Tu vipera gentile, Mondatori 1972, dal racconto Delitto di Stato, pagg. 8-9)
Mi ricordo bene quella mattina di sole che pareva stregato tra nuvole basse strisciate di colori plumbei che promettevano tempesta. Trovai i soldati sulla riva annidati a gruppi di tre o quattro in piccole radure tra i canneti. Più che del nemico avevano paura della peste (…).
Tu vipera gentile, dal racconto Delitto di Stato, pag. 80)