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Nel passato la corte, già appartenuta a Francesco I Gonzaga, era nota poiché ospitava un “palazzo di villeggiatura” di proprietà vescovile costruito tra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento mediante l’ampliamento di edifici preesistenti. La prestigiosa residenza di campagna, venne demolita verso la metà dell’Ottocento per recuperarne materiali da costruzione e di essa non restano oggi significative tracce. Rimane invece un’interessante casa colonica costruita tra il 1854 e il 1864 che seppur all’esterno risulti di aspetto comune presenta invece al suo interno caratteristiche uniche. L’edificio, a pianta quadrata, fu costruito su committenza della mensa vescovile come abitazioni per i coloni; esso è suddiviso in quattro appartamenti, articolati su tre piani, dotati di accessi indipendenti, ubicati sulle diverse facciate, e di un particolare sistema di scale indipendenti che collegano i locali posti sui diversi piani (vedi foto sotto). La soluzione scelta per collegare le diverse unità abitative risale all’iniziativa di Gioacchino Magri, l’affittuale del fondo Rottadola nonché al lavoro del progettista il cui nome è sconosciuto, ma da alcuni identificato con l’ingegnere Iacopo Martinelli, tecnico della mensa vescovile. La casa colonica di Rottadola viene così a costituire un momento, per quanto minore, di un percorso architettonico colto di respiro a livello europeo, all’interno del quale riveste sicuro interesse.