Chiesa dei Santi Simone e Giuda

Chiesa

Informazioni rapide

Chiesa

Tipologia

MANTOVA

Citta

via Fernelli - ang. via Arrivabene

Indirizzo

Descrizione

Le indagini archeologiche, realizzate, nel 2002, nella chiesa dei Santi Simone e Giuda hanno dimostrato che il tempio  ha un’origine tardoantica-altomedievale. 
I resti di una struttura absidata, ascrivibile al VII-VIII secolo , sono stati identificati sotto la navata centrale. Proprio lì è emerso - per una lunghezza di m 8,35 - un muro in ciottoli legati da malta.  In un corridoio sotterraneo, parallelo alla citata navata, è visibile, inoltre, il tratto di paramento esterno di un muro, che, in direzione nord, forma uno spigolo e poi continua curvilineo a realizzare un tratto di abside. Nella sagrestia è stata riportata in luce una rasatura di muro, la cui curvatura corrisponde all'abside in ciottoli, 
L’antica chiesa era dunque orientata come quella attuale e aveva un dimensione di m 10,00 per m 7,70. In base ai dati emersi Elena Menotti ha datato l’origine dell’edificio ad età longobarda. Esplorando i sottotetti della chiesa si può inoltre osservare la distribuzione dello spazio romanico, a partire dall’antica zona absidale, di cui resta, sul lato nord, un timpano con una cornice realizzata a sei filari di mattoni aggettanti, sorretti da mensoline in cotto sagomate e posate verticalmente.
Sulle pietre appaiono ancora tracce di martellinatura. Appena sotto il timpano si appoggiava la parte superiore della piccola abside, rimossa a seguito dell’allargamento della chiesa.
La sopravvissuta struttura muraria, sebbene occultata dalle successive modifiche dell’edificio, risulta solamente interrotta per quel tanto che servì a realizzare una piccola apertura che ora conduce, attraverso una passerella lignea, sopra le volte settecentesche. Si osserva poi, nel seguire la muratura, che la parete che separa l’aula principale dalle più tarde volte laterali è ancora ornata da archetti pensili in cotto, che coronavano il limite superiore delle pareti esterne. Gli archetti marcano l’altezza originaria della chiesa romanica e si accompagnano alle antiche lesene che scandivano la parete esterna del lato est, quella sulla quale è oggi possibile svolgere le osservazioni visive. Cinque di tali archetti sono ravvivati da decorazioni pittoriche, ancora in buono stato perché furono protetti dal campanile che si accostò, in anni successivi, alla parete esterna della chiesa. Gli altri decori subirono le dilavazioni atmosferiche e persero ogni traccia cromatica prima di essere nascoste dalla copertura delle tardo cinquecentesche cappelle. Di fatto si può dire che la chiesa romanica sopravvive a tutt’oggi, inglobata e nascosta dalle trasformazioni avvenute dal tardo Cinquecento in avanti. 
Esiste, infine, un documento, dalla cronologia certa, che cita San Simone nel contesto del periodo che più ci interessa: è l’atto, redatto a Ferentino il 6 maggio 1151, col quale papa Eugenio III prendeva sotto la sua protezione la Chiesa di Mantova confermandone tutti i beni.  Il documento è importante perché rimanda anche al complesso urbano e all’espansione cittadina avvenuta tra la fine dell’XI e gli inizi del XII secolo. Le mura che separano San Simone dal suburbio rappresentano il confine meridionale della città, che si è allargata, per quanto ci interessa, fino alla zona della nostra antica chiesa. La chiesa di San Simone si trovava così al limite del perimetro che identificava i margini della città tra il periodo matildico e la nascita del libero Comune. 
La vecchia e la  nuova chiesa, dall’VIII all’XI secolo testimoniano, in modo palese, un nucleo insediativo organizzatosi in quell’area in funzione dei traffici legati al vicino porto e ai lavoratori e alle merci che vi transitavano. Il primitivo edificio sacro, di cui sono state riportate alla luce le tracce, si sviluppò nella costruzione di un più significativo luogo di culto perché lì attorno si era costituita e consolidata una piccola e intraprendente comunità umana che, già a cavallo tra XII-XIII secolo, andò a costituire un embrionale e organizzato quartiere della cosiddetta civitas nova. E’ questo infatti che si ricava da documenti che, nel secolo successivo, parlano di «contrata S. Symonis», di «strata beccharie», di «via de S. Symone», di un tessuto urbano ben strutturato e di un flusso costante di crescita che portò il quartiere ad allargarsi sino al monastero di San Giovanni delle Carrette.

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