“Quando penso ai sordi mi tornano alla mente le sculture incompiute del grande Michelangelo…” Giordano Morganti
Un altro linguaggio, un’altra letteratura
di Peter Assmann Direttore complesso museale Palazzo Ducale di Mantova
“La lingua è un virus proveniente dallo spazio profondo”. La famosa citazione, spesso usata nelle sue opere da William S. Burroughs e diventata popolare attraverso la canzone di Laurie Anderson, ci porta immediatamente a provare una sensazione di alienazione verso qualcosa che sembra messo poco in discussione, in quanto parte integrante dell’identità delle persone: la capacità di potere comunicare tramite il linguaggio. D’altro canto il linguaggio è sempre indicato come il principale mezzo di costruzione delle relazioni.
E questa parte così importante dell’esistenza umana dovrebbe essere il prodotto di una sorta di essenza, potenzialmente dannosa, importata da un luogo lontano? Ma il linguaggio e, ancor più, la letteratura hanno al loro interno sempre entrambe le esperienze, ovvero una forte energia che crea legami tra persone diverse e la percezione di rendere esplicita la distanza tra individui differenti. Quindi trattare del linguaggio significa sempre avere a che fare con la possibilità di restituire un’opinione. L’alienazione è quindi parte integrante del sistema comunicativo e tuttavia determina anche altre occasioni di comunicazione. Questa “altra” possibilità è sicuramente più rilevante quando la principale possibilità del sistema di linguaggio impiegato dalla maggior parte delle persone non viene utilizzato da un altro gruppo di individui. È questo, ovviamente, il caso delle persone sordomute che, non parlando e non sentendo il linguaggio sonoro, agiscono e reagiscono nella comunicazione tramite dei gesti e un elaborato sistema di segni del corpo. Il corpo, pertanto, non deve essere visto solamente come entità dell’individuo che conosce tramite i sensi il mondo circostante, né come definito e elaborato in quanto individuo a sé stante. Il corpo diventa anche un mezzo ancora più intenso per comunicare messaggi - una sorta di sistema teatrale condensato, una poesia di espressioni concentrate. Soprattutto in Italia, dove nella vita di tutti i giorni la comunicazione basata sul linguaggio è più o meno sempre combinata con significative aggiunte di gesti e commenti mimici, il “fattore di alienazione” di questo linguaggio del corpo non è così forte ed il fattore poetico di questa situazione comunicativa non sembra così strano… a prima vista.
Le poesie fotografiche in bianco e nero di Giordano Morganti si presentano in dimensioni monumentali, più grandi delle misure reali dell’uomo, si confrontano direttamente con lo spettatore, captano tutta la sua attenzione, non lasciandogli molte “vie di fuga” da questo contatto quasi inevitabile che innesca una comunicazione. Una comunicazione artistica che inizia con un confronto, un incontro diretto che cattura immediatamente l’attenzione, che porta a porre domande, determinando così una nuova partecipazione (intenzionale o meno) e una nuova consapevolezza della propria posizione. La comunicazione basata sul corpo suscita anche le reazioni del corpo stesso, quali la sensazione di essere toccati sull’epidermide, colpiti nella nostra esistenza sensuale, e, quindi, a sua volta, provoca delle reazioni di comunicazione (fosse anche solo un silenzio incuriosito).
Così queste opere d’arte vanno ben oltre la documentazione, agiscono come un concetto di un’esistenza individuale, affrontando i dibattiti in materia di scultura, come pure le questioni in merito alla definizione dell’individualità dell’esistenza del corpo umano, i sistemi di organizzazione della luce, di ‘tradizione’ dello spazio e delle ‘immagini’ e, in ogni aspetto, la letteratura. Le foto di Morganti sono spesso molto più che precise nella loro composizione e anche nei loro aspetti tecnici, reclamano la perfezione in ogni dettaglio, talvolta paiono tagliare gli occhi dello spettatore…
Con i suoi interventi nel Palazzo Ducale di Mantova l’artista realizza una situazione di comunicazione e ancora più di confronto inserendo le immagini monumentali di personaggi che vivono ai margini della società in un complesso di edifici storici di alto valore di rappresentanza, in particolare con i suoi interventi sulla facciata del Palazzo del Capitano dove, nella gabbia collocata all’esterno, vengono mostrate, quasi esibite, delle espressioni di volti sconvolgenti. Il suo lavoro artistico si intreccia anche con la storia di un’altra opera d’arte, mettendo a confronto il suo collage dedicato ad alcune persone disabili, con la (ciò che resta della) pittura monumentale della Famiglia Gonzaga in adorazione della Santissima Trinità di Pieter Paul Rubens, che è stata tagliata al centro da un ufficiale francese per essere meglio trasportata (trafugata) in Francia durante l’occupazione di Mantova intorno al 1800.
La fragilità della monumentale scena pittorica è in questo modo sottolineata, un episodio di storia dell’arte ha suscitato in Morganti una profonda riflessione personale. Nella grande Sala degli Specchi la funzione rappresentativa della camera elegante è assoggettata all’impostazione diagonale di un allestimento fotografico con opere di grande formato, senza cercare di mettere da parte le elaborate definizioni architettoniche, al contrario combinando una sorta di spazio storico teatrale con un complesso sistema ornamentale. Con una rappresentazione, ovviamente contemporanea, di un definito linguaggio personale dell’espressione del corpo l’intero “teatro” si sviluppa in un nuovo messaggio. Lo spettatore entra e diventa immediatamente parte di questo nuovo sistema in una prospettiva polivalente, non più e non solamente grazie agli enormi specchi storici della sala. La letteratura agisce sempre come un “virus” provocando reazioni possibili, visioni non collegate immediatamente, a un primo e a un secondo sguardo, alla comunicazione di un messaggio.
Ciò che deve essere sperimentato più che direttamente nelle poesie fotografiche di Giordano Morganti nell’ambiente significativo del Palazzo Ducale di Mantova è un’esperienza molteplice di un’immagine basata sulla discussione di un linguaggio, una sorta di Festivaletteratura a proprio modo.